Le motivazioni che spingono le imprese ad esplorare nuovi mercati e a sviluppare nuovi scenari produttivi sono svariate:
- aumentare i ricavi e i volumi di vendita,
- abbattere i costi e saturare la propria capacità produttiva,
- diversificare rischi rispetto alla domanda domestica,
- creare partnership con aziende estere,
- differenziare e diversificare il rischio paese in cui l’azienda opera,
- ottenere vantaggi fiscali grazie a legislazioni più favorevoli di alcuni paesi,
- innovare la propria realtà accendendo a know-how, tecnologie e metodiche di altri paesi e culture
- ……. e molte altre si potrebbero aggiungere .
Ma quali che siano le attese, è fondamentale che venga assicurata la massima coerenza tra le modalità e gli approcci con cui si va all’estero e quelli già consolidati sul mercato domestico ciò per garantire l’uniformità della cultura e capacità gestionale vigente.
Infatti, nella realtà italiana, troppo spesso scelte fondamentali come il paese e il mercato target, l’approccio all’entrata, l’entità e la reversibilità dell’impegno economico vengono decisi sulla base di contatti personali e occasionali a fiere o ancora più semplicemente imitando i concorrenti o il “best performer”. Ciò, ad esempio, porta a tempi di implementazione troppo lunghi e inadeguati alle dinamiche richieste dai mercati stessi.
Questo tipo di approccio, senza l’utilizzo di adeguati metodi, porta a situazioni ad alto rischio relativamente al:
- raggiungimento degli obiettivi economici voluti in quanto porta ad operare in paesi privi di reali prospettive o con flussi esportativi a breve termine trascurando realtà potenzialmente molto più interessanti unicamente perché non si sono manifestati contatti diretti,
- stabilità, affidabilità e adeguatezza del paese o dell’area geografica target,
- capacità di governare la complessità del processo di espansione all’estero a causa della scarsa competenza delle risorse e delle strutture interne,
- generazione di costi imprevisti, spesso significativi.
I limiti e gli errori che più spesso abbiamo riscontrato nelle realtà imprenditoriali italiane e soprattutto delle PMI sono:
- Avviare le attività senza una adeguata preparazione sottovalutando aspetti come la competenza specifica in ambito internazionale, i limiti delle proprie risorse e dell’approccio manageriale,
- Trascurare la realizzazione di studi di fattibilità ignorando che tentativi ed errori generano immancabilmente costi elevati
- Non dotarsi di un approccio specifico ritenendo che sia sufficiente comportarsi nel paese target come in Italia senza un adeguato presidio dedicato.
- Credere che la propria competitività possa basarsi solo sul livello tecnologico e qualitativo del prodotto senza una adeguata riflessione rispetto agli standard e alle normative richieste dal paese ospitante.
- Trascurare le attività di post internazionalizzazione.
- Pensare che l’affidabilità creditizia che si ha nel paese di origine sia fruibile anche all’estero.