E’ comune ritenere che il passaggio generazionale sia un fenomeno del tutto italiano anche se le imprese famigliari sono ampiamente diffuse in tutto il mondo.
Ad esempio appartengono a questa categoria nomi come Ford, Samsung, LG, Peugeot-Citroen, Luxottica, Michelin, Fiat, BMW, Pirelli, Wal-Mart, Motorola, Hyundai e la lista sarebbe davvero lunga. In Europa sono diffuse soprattutto nella fascia continentale con una media tra il 60% e 65% mentre nel mondo anglosassone la percentuale scende a circa il 23% – 25%.
In tal senso l’Italia è perfettamente allineata con i dati degli altri paesi europei.
Esiste, però, una differenza fondamentale e, purtroppo critica, rispetto agli altri paesi: mentre nelle altre nazioni le imprese hanno la capacità di cambiare la loro natura (passando da famigliare a public company) con il mutare delle generazioni imprenditoriali, quelle italiane tendono a resistere a questa evoluzione.
All’estero infatti questa forma imprenditoriale decresce sensibilmente passando dal 60% al 20% con il passaggio alla 2° generazione e raggiunge il 10% con il passaggio successive; in Italia, la quasi totalità degli imprenditori manifestano la volontà di lasciare la gestione della propria azienda a componenti della famiglia.
La persistenza attraverso le diverse generazioni di questa forma di imprenditorialità ne enfatizza ed evidenzia i limiti:
- conflitti interni ai membri della famiglia, conflitti tra il “bene” aziendale e quello famigliare che di regola non dovrebbero coincidere,
- situazioni di “nepotismo” invece di gestire l’azienda secondo criteri meritocratici,
- riduzione significativa delle opportunità di crescita.
Mediamente ogni anno circa 65.000 aziende italiane affrontano il cambio generazionale ed almeno il 30% di esse va incontro ad una crisi irreversibile.